“Nel 2021, il 40% dei pensionati ha percepito un reddito pensionistico lordo inferiore ai 12.000 euro, dato che scende al 32% se consideriamo integrazioni al minimo, trasferimenti e maggiorazioni”.
Lo ha detto il Presidente dell’Inps Pasquale Tridico nel corso della Presentazione Del Rapporto annuale il quale ha messo in evidenza il fatto che ci sia un problema di ‘povertà pensionistica”. Secondo Tridico questo è un problema che rischia di essere quello del futuro. A stipendi bassi corrispondono contribuzioni basse e quindi future pensioni povere.
“Da un’analisi del 20% più povero tra i pensionati (fino a 10.000 euro annui) emerge che solo il 15% dei pensionati in questa fascia riceve un assegno sociale e il 26% una pensione ai superstiti – ha aggiunto Tridico – quasi il 60% percepisce una pensione di vecchiaia o anticipata dal Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, il che riflette il fenomeno della povertà lavorativa che hanno sperimentato nei decenni precedenti, in cui erano attivi”.
I numeri
Secondo quando riportato dal Presidente dell’Inps Tridico nella sua relazione, al 31 dicembre 2021 i pensionati in Italia sono circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni di uomini e 8,3 milioni di donne, per circa 22 milioni di assegni pensionistici. L’importo lordo delle pensioni complessivamente erogate nel 2021 è di 312 miliardi di euro. Sebbene le donne rappresentino il 52% sul totale dei pensionati, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici. L’importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è 1.884 euro lordi, del 37% superiore a quello delle donne, pari a 1.374 euro.
Gli anticipi pensionistici
“Nel Rapporto si dà conto di come le esperienze di flessibilizzazione nelle modalità di pensionamento introdotte con Quota 100, Quota 102 e Opzione Donna non siano state fruite in modo uniforme dai potenziali beneficiari – ha detto Tridico – rimane quindi la necessità di poter offrire maggiore libertà di scelta ai cittadini sul momento in cui vogliono andare in pensione. Con il venir meno di Quota 102 dal 1° gennaio 2023, per la generalità dei lavoratori appartenenti al sistema ex-retributivo o misto la possibilità di uscita di fatto limitata ai requisiti ordinari per la pensione di vecchiaia o anticipata”. L’Inps ha stimato i costi di tre proposte alternative che hanno attraversato il dibattito politico, con valori differenti nel triennio 2023-25:
a) l’opzione al calcolo contributivo, per lavoratori che abbiano raggiungo 64 anni di età e almeno 35 anni di contribuzione e ottengano una pensione sopra una certa soglia, per un valore di 5,9 miliardi;
b) il calcolo della pensione con una penalizzazione della componente retributiva, che tenga conto della differenza tra età di uscita e età per la pensione di vecchiaia, per un costo di 6,7 miliardi;
c) l’anticipo della quota contributiva della pensione, per lavoratori che abbiano raggiunto 63 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione con corresponsione dell’intero ammontare al raggiungimento dell’età di vecchiaia, con una spesa di meno di 4 miliardi.
“Tali impatti si esauriscono nell’arco di poco più di un decennio, quando il sistema contributivo andrà definitivamente a regime per tutti “ – ha concluso Tridico.
Assegno unico
“A fine giugno – ha infine annunciato Tridico – risultano pervenute all’Istituto domande di assegno per circa 9,1 milioni di figli, cui si aggiungono oltre 530 mila figli di nuclei percettori di RdC che hanno ricevuto almeno una integrazione da assegno unico, rispetto ad una potenziale platea di circa 11 milioni aventi diritto. Circa il 45% degli assegni pagati va a nuclei con Isee inferiore ai 15.000€, che pertanto ricevono il massimo del beneficio, mentre più del 20% dei figli appartengono a nuclei familiari che non hanno presentato ISEE e quindi percepiscono l’importo minimo (fig.13). L’importo medio mensile per nucleo richiedente nel mese di maggio risulta da un minimo di 128 euro per un figlio a 1.581 euro per i nuclei con 6 figli o più”.