Agosto 7, 2023

Squilibri demografici e centralità dei giovani nel Rapporto ISTAT 2023

Di Antonio Licchetta – Responsabile Area normativa Patronato Epasa-Itaco

L’ultima fotografia scattata dall’ISTAT raffigura un Paese, il nostro, alle prese con una dinamica ormai piuttosto chiara: da un lato, un quadro demografico in costante declino con un progressivo invecchiamento della popolazione e, dall’altro, l’opportunità per i giovani di giocare un ruolo decisivo nel rappresentare il motore della crescita futura.

Il primo tema, quello relativo al famoso “inverno demografico”, è ormai tristemente noto, e quindi non vale la pena soffermarsi qui oltremodo: il combinato disposto di un’alta speranza di vita e di una bassa fecondità, contribuiscono al progressivo aumento degli anziani e alla contrazione dei giovani, determinando un allarmante squilibrio intergenerazionale, soprattutto in alcune aree del Paese.

Sulla fecondità, in particolare, l’ISTAT fornisce un dato per certi versi sorprendente, perché ricorda che “è dalla metà degli anni Settanta che il numero medio di figli per donna è sceso sotto la soglia di 2,1, valore che sancisce un teorico equilibrio nel ricambio generazionale”. La diminuzione è stata continua, fino al minimo storico di 1,19 figli per donna del 1995. La fecondità, ci dice l’ISTAT, ha poi ripreso ad aumentare, arrivando al massimo relativo di 1,44 figli per donna del 2010.

Questo aumento è stato sostenuto soprattutto dalle nascite con almeno un genitore straniero, arrivate a costituire circa un quinto del totale dei 562 mila nati del 2010. Successivamente, complici gli effetti non solo economici ma anche sociali delle crisi del 2008 prima, e del 2011-2012 poi, è iniziata una nuova fase di rapida diminuzione delle nascite e del numero medio di figli per donna, oggi pari a 1,24.

Ma questi “pochi nati” di oggi, come si diceva in apertura di questo scritto, hanno l’opportunità di essere il vero motore della futura crescita economica e sociale di questo Paese, e non solo. Potranno intestarsi il decisivo, storico contributo dato per affrontare sfide epocali, interne (calo demografico, innovazione nella Pubblica amministrazione e nelle piccole e medie imprese) ed internazionali (su tutte, la transizione ecologica). Naturalmente a patto che siano posti nelle necessarie condizioni. E qui, il tema degli investimenti e della formazione torna decisivo.

Per mettere le nuove generazioni in grado di affrontare positivamente i cambiamenti in atto, e per prevenire l’insorgere di situazioni di vulnerabilità purtroppo oggi largamente presenti tra i giovani, è necessario garantire a tutti bambini, fin dalla nascita, livelli di benessere che consentano un adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale. Questo obiettivo va perseguito incidendo sui contesti di vita dei bambini e sulle opportunità educative, formative, culturali e di socializzazione a cui sono esposti.

Fermo restando quanto sopra, i dati sulla spesa per la protezione sociale forniti nel rapporto in commento mostrano tutt’altro, perché in Italia siamo in presenza di un netto sbilanciamento verso le funzioni rivolte a coprire i rischi delle generazioni adulte e anziane. Nonostante l’Italia sia uno dei paesi europei che investe una quota più alta del Pil in prestazioni per la protezione sociale (33,2 % del Pil, un valore secondo solo a quello francese pari al 35,2 %), la quota destinata alle prestazioni destinate alle famiglie e i minori è molto più contenuta che negli altri paesi europei (1,2 % contro valori come quello tedesco del 3,7 %).

Ovviamente questo squilibrio, sebbene comune a tutti i paesi europei, è più rimarcato in Italia anche a causa del più pronunciato invecchiamento demografico. Tuttavia, esso persiste anche nel confronto con un paese come la Germania, che ha un livello di invecchiamento pari o superiore al nostro.

Il quadro comparativo fornito dall’ISTAT non migliora guardando ai valori pro capite e, soprattutto, alle modalità di spesa: in Europa ogni abitante riceve 673 euro tra prestazioni sociali per bambini e famiglie, di cui i trasferimenti in denaro sono il 63 %, mentre l’Italia ha una spesa media per abitante di 318 euro (meno della metà), e i trasferimenti in denaro ne rappresentano l’83 %. Come dire: meno risorse, meno servizi, più interventi a pioggia rispetto agli altri paesi europei.

Nel quadro sopra brevemente illustrato, e adottando un’ottica di welfare state come investimento sociale e non di mera distribuzione di risorse economiche, il pensiero corre al Programma Next Generation EU. La centralità posta dall’Unione europea sul fattore “giovani” si rispecchia infatti già nella scelta di intitolare il Programma proprio alle “nuove generazioni”.

Per il nostro Paese si tratta di cogliere un’opportunità per far valere di più la risorsa che sarà sempre meno disponibile: i giovani. Le notevoli risorse finanziarie messe in campo per intraprendere un percorso di ripresa e resilienza devono supportare investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei percorsi di vita, intervenendo fin dalla primissima infanzia.

In coerenza con quanto sopra, le misure a supporto del benessere, dell’inclusività e della crescita delle competenze e conoscenze per le prossime generazioni sono uno dei sei pilastri del Recovery and Resilience Facility e il riequilibrio dei divari generazionali è uno dei tre obiettivi trasversali del PNNR.

Si tratta di continuare su questi presupposti e di vigilare affinchè  le missioni che ruotano attorno a questi temi non siano tra le prime vittime dell’attuale ridefinizione complessiva del PNRR.

Vuoi saperne di più? Leggi l’intero approfondimento al link https://silver.cna.it/parliamo-di-rapporto-annuale-istat-2023/